La prima regola del mondo digitale è tanto semplice quanto pericolosa per chi non la rispetta: non fate i furbi, prima o poi qualcuno vi sbugiarderà. Che tu sia un politico, un blogger o un semplice utente, se tenti di fare il furbo, in Rete (sul web come sui social) ti beccano. Potrà avvenire prima o poi. Ma avverrà sempre. Perché la Rete è piena di gente (spesso) più furba di te. E perché ormai esistono programmi in grado di scoprire da dove abbiamo preso una fotografia e/o se abbiamo copiato uno scritto o una parte di esso.
In gioco non c’è solo la credibilità di ognuno di noi (cosa peraltro non da poco, soprattutto per chi fa certe professioni), ma anche un gigantesco mare di soldi legato ai copyright. Provate a immaginare quale rivoluzione avverrebbe se, all’improvviso, grazie ad uno o più programmi si potessero individuare all’istante tutti coloro che su web e social hanno pubblicato testi, articoli di giornale o fotografie senza averne il permesso (e senza pagarne i diritti). Sarebbe un fatto epocale che metterebbe in ginocchio molti siti web ma anche tante persone comuni che con troppa disinvoltura in questi anni hanno pubblicato foto e testi altrui. Tutti si troverebbero all’improvviso di fronte a richieste più o meno pesanti di pagamento e a potenziali cause. Se pensate sia fantascienza, sappiate che, nei giorni scorsi, Google (cioè il principale motore di ricerca del web) ha cancellato 1,75 miliardi di pagine web per violazioni del copyright. Certo, rispetto agli oltre 60 miliardi di pagine indicizzate da Google, è una goccia nel mare. Ma è facile prevedere che siamo appena all’inizio di un fenomeno gigantesco. Non si tratta solo di un atto di giustizia «dovuto», quanto di una precisa esigenza. Visto che nel mondo digitale gli investimenti pubblicitari e i guadagni sono sempre più difficili da ottenere, il pagamento dei copyright è una delle ultime possibilità di guadagno.
Vabbè – direte – la strada è ancora lunga. Ora che arriveranno a me, che sono un piccolo utente, ne passerà di tempo. Peccato che al Politecnico di Torino sono a buon punto con un programma rivoluzionario chiamatoToothPic. Si tratta (semplificando un po’) di un motore di ricerca in grado di scovare il «dna» di una fotografia digitale. E di scoprire quale macchina ha scattato quella foto e tutte le altre immagini «sorelle » presenti su web e social. Non stiamo parlando dei metadati delle foto, che già oggi identificano ogni scatto digitale con data, modello di fotocamera, tempo di ripresa eccetera. Ma di vere e proprie impronte digitali contenute già ora nelle foto digitali che permetteranno di attribuirne la paternità senza ombra di dubbio. Basterà lanciare una ricerca immettendo una foto e – incrociando i dati – si scoprirà chiunque nel mondo l’ha usata senza permesso. E da lì partiranno decine di migliaia di cause. Siamo solo all’inizio. Ma ci arriveremo. Presto. Domani o dopodomani. Perché nel mondo digitale non si può (non si potrà) più fare i furbi senza venire sbugiardati. Conviene pensarci in tempo.
Gigio Rancilio